L’olivicoltura come presidio del Territorio: l’intervento di Fabio Casella alla festa dell’olio 27 e 28 novembre 2021

Il Territorio del Monte Pisano è stato intensamente antropizzato fin dal medio evo.
Pur essendo stato terra di confine per intere generazioni, ha visto entrambi i suoi versanti, quello pisano e quello lucchese, interessati da tecniche di gestione identiche nelle strutture sia di carattere boschivo che agricolo, strutture che oggi possiamo definire senza ombra di dubbio di connotazione agroecologica.

Spesso analfabeti ma con uno spiccato senso di osservazione per il mondo naturale e per gli eventi ad esso connessi, gli agricoltori hanno realizzato e mantenuto da una generazione all’altra una gigantesca opera opera di stabilizzazione territoriale che ancora oggi, a distanza di secoli, consente all’intero complesso di garantire la stabilità fino alle aree di fondovalle ormai densamente urbanizzate.
La stabilizzazione a sistema terrazzato, eseguita esclusivamente con materiali reperiti in loco, coniuga la realizzazione dei pianori (Lenze), atti all’impianto di colture produttive di olivi castagni e viti, ad un capillare sistema scolante delle acque meteoriche che regima e convoglia le acque piovane nei torrenti principali mettendo così al sicuro dalle erosioni tutti i versanti.

Questa sistemazione territoriale, realizzata per rendere produttiva ed agroecologica una vasta area collinare, ha posto le basi per lo sviluppo urbano di fondovalle.
E’ grazie alla capillarità delle opere idrauliche mantenute dagli abitanti del monte nelle aree coltivate, in quelle forestali e in quelle limitrofe alle sponde torrentizie, che la piana ha avuto la possibilità di sviluppare le sue attività produttive. L’attività molitoria, il piccolo artigianato e il tessuto urbano per anni hanno usufruito del lavoro agricolo senza preoccuparsi dei rischi derivanti dagli eventi atmosferici. Anche se non riconosciuta ufficialmente, la sistemazione idraulica agroforestale del Monte Pisano è quindi di fatto la più grande opera di valenza pubblica che sia mai stata realizzata in questo contesto.

L’olivicoltore è stato dunque, per intere generazioni, un anello determinante nella catena dell’equilibrio territoriale reso stabile, contestualmente alla produzione agricola, dal lavoro di manutenzione del sistema idraulico agrario svolgendo di fatto un servizio pubblico per la comunità. Questo sistema è altamente ecologico ma particolarmente fragile poiché gli è indispensabile una manutenzione costante con competenze che solo la tradizione tramandata da una generazione all’altra era in grado di garantire in modo efficace. Le variate condizioni economiche hanno determinato l’abbandono dell’olivicoltura tradizionale che si coniugava con l’attività boschiva e la pastorizia, mandando in crisi il contesto territoriale e lasciando di fatto senza protezione l’intero sistema. È stata sufficiente l’interruzione di due sole generazioni per perdere le conoscenze sulle tecniche di gestione ordinaria e straordinaria di questo sistema.

L’agricoltura hobbistica, che pure ha avuto un ruolo nel mitigare l’esodo agricolo, poco o nulla ha potuto fare in termini di mantenimento territoriale. Quest’ultimo infatti, è inevitabile, ha bisogno di persone che prestino un’attività con un’alta continuità e anche con un’alta preparazione riguardo al funzionamento del sistema terrazzato nel suo insieme, nonché di persone disposte a sacrificare il proprio tempo e risorse per il bene del territorio. Abbiamo preso consapevolezza di questo solo dopo troppo tempo: quando l’abbandono dei terreni collinari ha prodotto grandi incendi con conseguenti dissesti idrogeologici e rischi anche per gli insediamenti di fondovalle. Da qui l’esigenza di recuperare le professionalità e le conoscenze storiche detenute ormai da poche persone. In questi ultimi anni qualcosa è stato prodotto, come alcuni studi che hanno consentito di non perdere la memoria di ciò che è stato tramandato esclusivamente di padre in figlio per via orale e attraverso dimostrazioni pratiche.

Lo storico agricoltore del Monte Pisano inoltre viveva il territorio con i suoi animali che erano un supporto indispensabile all’equilibrio (anche in termini d biodiversità) dell’attività agricola e forestale. La completa scomparsa della pastorizia ha aggravato la situazione di incuria e di abbandono infatti l’agricoltura collinare è difficilmente meccanizzabile quindi anche la ripresa di attività di allevamento presa in seria considerazione. Il fatto che questo aspetto purtroppo non abbia ancora avuto voce e rappresenta una lacuna che va velocemente colmata, a partire dalla modifica di quei provvedimenti adottati dagli anni ’80 e ’90 del secolo scorso che hanno reso più difficile l’allevamento degli ovini sul Monte Pisano.

Per riprendere un percorso che garantisca il futuro del nostro territorio, sono necessarie azioni tese ad agevolare un ripopolamento stabile delle nostre aree collinari da parte di una popolazione che interpreti i propri interventi e le proprie attività con con spirito agroecologico, l’unico applicabile in questo contesto.
La moderna collettività non può sopravvivere solo connettendosi ai “social” ma deve uscire dalle proprie postazioni computerizzate e tornare a vivere in presenza il territorio. Questo non dovrebbe essere fatto solo da chi ha intrapreso o vuole intraprendere un’attività agricola ma da tutta la popolazione che deve rendersi conto che l’opera agricola è anche un bene pubblico e va supportata dall’intera comunità. Se tutti, indipendentemente dal lavoro svolto, vivessero il territorio con più coscienza, capirebbero che certe tecniche agricole vanno mantenute attive anche se non sono attraenti per la produzione economica, perché, a conti fatti, sono il sostegno silenzioso di tutte le altre attività del territorio attualmente riconosciute come più importanti.

Fabio Casella (Sportello di Agroecologia), Calci, 27-11-2021


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